Appello a una mobilitazione generale il 21 ottobre contro guerra, armi e fossile!

Appello a una mobilitazione generale il 21 ottobre contro guerra, armi e fossile!

Appello a una mobilitazione generale il 21 ottobre da FERMARE L’ESCALATION

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Ricondividiamo di seguito l’appello redatto come Fermare l’Escalation verso la grande mobilitazione del 21 ottobre che vedrà il nostro territorio attraversato da una grande manifestazione centrale per la nostra lotta contro la base (anche visti gli ultimi aggiornamenti), ma anche per l’espressione di un’opposizione chiara all’’escalation militare e patriarcale globale che stiamo affrontando, con conseguenze rovinose per i territori e le vite delle persone che li abitano e attraversano.

C’è una stretta connessione tra la militarizzazione dei territori in cui viviamo e le politiche di guerra che l’attuale governo conduce in continuità con quelli precedenti. Per questo la lotta contro la militarizzazione e la costruzione di nuove basi militari deve intrecciarsi con la lotta per fermare l’escalation globale verso la guerra. In tale prospettiva “Fermare l’escalation” nasce come processo di mobilitazione di diverse realtà di lotta politica, sindacale, sociale, ecologica, transfemminista, dell’associazionismo, del mondo antimilitarista, pacifista e di quello della giustizia climatica, dei nodi territoriali contro le grandi opere, i disastri ambientali ed il fossile. 

“Le guerre non scoppiano, si preparano”, è una delle espressioni che abbiamo pronunciato più volte: come possiamo fare in modo di costruire una fiducia nella possibilità di inceppare questa preparazione? 

L’escalation che stiamo affrontando è globale e ha conseguenze rovinose per i territori e le vite delle persone che li abitano e attraversano. In questa realtà fatta di schemi patriarcali, guerrafondai, capitalisti ed ecocidi vogliamo andare oltre ogni binarismo, contro Putin e contro la NATO, mettendo a tema quanto sia fondante la guerra per il sistema distruttivo in cui viviamo e per la sua riproduzione e quindi rifiutandola in tutti i suoi aspetti e dinamiche. 

Questo alle nostre latitudini si confronta, oltre che con il militarismo italiano, con la ripresa del nucleare civile e militare e con la con la presenza massiccia di basi e logistiche militari USA e NATO utilizzate per mantenere un ordine di dominio globale strategico i cui costi vengono pagati dalle popolazioni. 

Il controllo e l’investimento sulle fonti energetiche, soprattutto fossili, rappresenta uno dei modi attraverso cui si ridisegnano le sfere di influenza mondiali  dalle quali dobbiamo uscire, da est a ovest, da nord a sud. Le guerre ne sono naturale conseguenza: l’escalation militare in cui fossile e guerra sono intrecciate si configura come una forma di estrattivismo neocoloniale.

In maniera trasversale vediamo un irrigidimento ulteriore della cultura patriarcale e nazionalista e dei ruoli di genere ad essa associati, che trova massima espressione nella cultura della guerra e ne è fondamento. È in costante aumento la violenza di genere, perché la promozione del militarismo come unica prospettiva è alla base di ogni cultura dello stupro. Questo nel nostro paese si accompagna al restringimento dei diritti riproduttivi e genitoriali, che sta nel quadro di un attacco a questi diritti attivo in tutta Europa. 

L’economia di guerra sottrae risorse e possibilità alla popolazione: mentre miliardi vengono spesi in armamenti e militarizzazione assistiamo alla cancellazione del Reddito di Cittadinanza, tagli ai servizi ed al welfare sempre più privatizzato. La guerra è anche uno strumento per togliere risorse allə più deboli per accentrarle nelle mani dellə più ricchə: la speculazione finanziaria sui prezzi che ha provocato l’inflazione è solo un esempio tra gli altri.
C’è inoltre una guerra portata avanti da tempo dall’Unione europea contro i corpi migranti che produce morti, dispositivi securitari e una sempre maggiore militarizzazione delle frontiere.

In questo momento, per contrastare il governo e il partito unico della guerra, c’è l’esigenza di costruire a livello generale e nazionale un processo comune di mobilitazione contro l’escalation, che siaradicato in ogni territorio in maniera interconnessa e sinergica. In questo processo comune rientra la mobilitazione generale e nazionale del 21 ottobre, data in cui  ci saranno due manifestazioni: a Pisa e in Sicilia, precedute dalla giornata di sciopero generale contro la guerra e l’economia di guerra del 20 ottobre.

I punti centrali del processo di lotta,  conoscenza e organizzazione che vogliamo intraprendere riguardano: 

  • La cultura della pace contro quella della guerra e le forme di militarizzazione e disciplinamento negli ambienti formativi;
  •  Il dirottamento dei fondi del PNRR e del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione verso nuovi investimenti per il riarmo e le fonti fossili;
  • Le occupazioni militari sui territori e la militarizzazione delle frontiere la libertà di movimento delle persone; 
  • Le conseguenze ambientali e sulla salute delle occupazioni militari e della dimensione complessiva di escalation bellica e militarizzazione nel suo legame con l’estrattivismo fossile;
  • L’aumento dei costi della vita in relazione ai salari e privatizzazione e/o assenza di servizi;

21 OTTOBRE MOBILITAZIONE GENERALE A PISA E IN SICILIA
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Fermare l’escalation, impedire una nuova base

Fermare l’escalation, impedire una nuova base

Novità dopo il tavolo interistituzionale, verso l’assemblea pubblica del 14/09

Il tavolo interistituzionale del 6 settembre ha visto emergere importanti novità ed un’accelerazione nel processo di militarizzazione e desertificazione del territorio Pisano.

Le istituzioni locali, dal Comune alla Regione, passando per il presidente del Parco, firmano a braccetto con i vertici militari dell’esercito, la svendita del territorio per una nuova inutile e dannosa infrastruttura militare. Non accetteremo nessuna logica di compensazione da chi vuole devastare “diffusamente” un’area vasta che va dal Comune di Pontedera fino a San Piero a Grado per alimentare la logica di Guerra

Quello che avviene a Pisa si inserisce in un quadro generalizzato di attacco al welfare del paese, contestualmente a una regressione della discussione pubblica, che mette sempre più al centro una cultura bellicista per cui la guerra non solo risulta necessaria, ma inevitabile, in spregio ai reali bisogni delle persone.

Per arrestare e capovolgere questa tendenza, insieme a tante altre realtà abbiamo avviato il processo per “Fermare l’escalation”, che vogliamo illustrare alla cittadinanza perché sia coinvolta nella costruzione di una grande mobilitazione generale che vedrà Pisa, in contemporanea con altri territori che sono nevralgici hub militari del Paese, scendere in piazza il 21 ottobre contro l’invio e la produzione di armi, la patriarcale cultura della guerra, la militarizzazione dei territori e le conseguenti devastazioni ambientali, per la salvaguardia dei salari e dei diritti di tutti e di tutte. 

La lotta contro la costruzione di una nuova base militare sul nostro territorio, che sia diffusa o concentrata in un unico luogo, passa anche dalla necessità di un radicale cambio di paradigma nelle politiche del governo e delle istituzioni locali, che devono rinunciare allo sfruttamento del territorio e delle sue risorse, umane e materiali, a favore dell’industria bellica e del sistema estrattivista, difeso e alimentato nei conflitti globali. Al contrario va rilanciato un piano di difesa e valorizzazione del patrimonio naturale a partire proprio dal Parco Naturale di San Rossore e vanno richiesti a gran voce investimenti per scuola, sanità ed edilizia pubblica con l’impiego di quegli stessi fondi per lo sviluppo e la coesione sociale che oggi anche l’Europa scandalosamente vorrebbe dirottati sulla produzione di armi e tecnologia militare.

Come l’impatto delle guerre globali ci coinvolge direttamente nella vita quotidiana, così la nostra reazione deve partire ed essere guidata dalle esigenze e dalle contingenze locali.

Invitiamo cittadini e cittadine, associazioni e collettivi a partecipare all’assemblea pubblica che si terrà giovedì 14 settembre 2023 alle 17:30 presso la piazza esterna del centro espositivo San Michele degli Scalzi e portare il proprio contributo per ripudiare la guerra e costruire collettivamente la pace. L’unica base sostenibile è quella che non verrà costruita. 

Una breccia per fermare l’escalation bellica

Una breccia per fermare l’escalation bellica

Comunicato conclusivo del campeggio “Fermare l’escalation”.

Si è concluso positivamente il campeggio “Fermare l’Escalation”, tenutosi in località “Tre Pini” dal 13 al 16 Luglio, che è stato attraversato da centinaia di persone di realtà associative, collettive, sindacali, sociali e politiche, provenienti dalle città, dallo stivale e dalle isole.

Il campeggio è stato possibile grazie all’impegno di decine di militanti e decine di partecipanti che per tutta la settimana hanno lavorato per rendere accessibili e attraversabili i terreni dell’Università di Pisa. Sono stati predisposti bagni, docce, ponti sui fossi. Sono stati cucinati e serviti più di 900 pasti avendo cura e rispetto dell’ambiente. Centinaia di persone ogni giorno hanno potuto usufruire degli spazi del campeggio immerso all’interno del Parco Naturale ed esplorare la militarizzazione di quello stesso territorio in gran parte inaccessibile. 

Rintracciare la produzione, riproduzione e decifrare la  filiera bellica in ogni tassello che impatta sulla vita quotidiana delle persone è stato il motore del  campeggio che  ha avuto  l’ambizione di immaginare un mondo senza filo spinato e senza guerre a partire dal blocco e dallo scardinamento della cultura militare in ogni sua forma.

In questi quattro giorni, densi di discussioni, iniziative e relazione, abbiamo affrontato i differenti nodi in cui la militarizzazione si esprime e abbiamo esplorato in modo composito e approfondito i legami tra il violento e rapido processo di escalation bellica con il cambiamento climatico, le devastazioni ambientali, le occupazioni militari, la cultura e l’economia di guerra, l’industria bellica e le ricadute sul piano sociale e lavorativo.

Abbiamo visto che è possibile bloccare, o almeno ostacolare, l’escalation nei luoghi della formazione, dalle scuole dell’infanzia alla ricerca, dove la guerra trova la sua legittimazione culturale, la produzione di nuove tecnologie e in cui radica le sue pratiche di arruolamento; nei territori che il capitalismo fossile depreda e svuota in funzione di nuove infrastrutture energetiche, che coincidono sistematicamente con gli investimenti militari nella costruzione di hub di guerra; sui posti di lavoro, dove i salari sono insufficienti a sostenere il carovita e il caro affitti dettati dall’inflazione; nei porti e gli aeroporti, snodi logistici del transito di armi; Nelle case, dove il lavoro di cura rende possibile la riproduzione delle dinamiche belliciste; Nell’investimento dei fondi pubblici per il riarmo e il sostegno all’industria bellica.

Per ogni nodo della produzione e riproduzione della filiera bellica sono state condivise forme di attivazione: dagli scioperi studenteschi al boicottaggio attivo dei progetti militari nelle scuole ed università, dai blocchi dell’invio di armi  al contrasto degli hub energetici e militari, da praticare congiuntamente nel prossimo autunno.


Nella passeggiata di lotta di sabato sera  una breccia é stata aperta tra le reti CISAM (Centro Interforze Studi per le Applicazioni Militari), dando la possibilità alle bandiere del movimento no base di sventolare nella porzione di Parco che dagli anni ‘50 è occupato militarmente, rimarcando la volontà di riappropriarsi dell’area e l’assoluta indisponibilità ad accettare una nuova base in qualsiasi forma e a prescindere da qualunque ipotesi di spacchettamento. Un messaggio chiaro indirizzato al tavolo interistituzionale che si terrà presso il ministero della difesa a Roma il prossimo 6 settembre.
Nell’assemblea conclusiva della domenica si è espressa con entusiasmo e convinzione  la volontà di proseguire collettivamente in questo processo di mobilitazione contro l’escalation bellica nel quadro di una cornice di analisi politica sempre più condivisa. Un primo passo in questa direzione è stata l’indizione di un momento di mobilitazione generale contro l’escalation bellica il 21 ottobre a partire dal territorio tra Pisa e Livorno e dagli altri luoghi che si metteranno a disposizione nei momenti di confronto, organizzazione e relazione dei campeggi previsti nel prosieguo dell’estate.

Appello all’Università di Pisa e al mondo accademico a sostegno del campeggio “Fermare l’escalation”

Appello all’Università di Pisa e al mondo accademico a sostegno del campeggio “Fermare l’escalation”

Ci rivolgiamo all’Università di Pisa, al mondo accademico, della ricerca, della scienza e della formazione in relazione al campeggio “Fermare l’escalation” che promuoveremo a Pisa dal 13 al 16 luglio.

Nel momento storico che stiamo attraversando assistiamo a una sempre più pervasiva escalation militare, che coinvolge ogni aspetto delle nostre vite. Vediamo i nostri governi dirottare progressivamente le risorse economiche, materiali e culturali su ambiti di produzione e investimento bellico; aumenta l’occupazione dei territori civili e naturalistici per le esercitazioni militari; si intensifica l’invio delle armi verso le zone di conflitto in tutto il mondo e con esso anche il riarmo generalizzato. In questo contesto, molti territori italiani, compreso il nostro, stanno diventando piattaforme di guerra attraverso la costruzione di basi e infrastrutture militari, portandoci sul crinale di una terza guerra mondiale. Da più di un anno, proprio nel territorio pisano, è stato scoperto un progetto per la costruzione di una nuova base militare, che si inserisce in una zona già ampiamente militarizzata e che contribuisce a questa escalation attraverso il transito e l’invio di armi, l’addestramento di forze speciali e la proiezione dell’Italia negli scenari di guerra in corso e in quelli che verranno.

In questo contesto, anche i luoghi della formazione sono investiti dalla tendenza generale alla guerra: da anni si moltiplicano nelle scuole iniziative volte a normalizzare l’uso internazionale della forza, introducendo elementi di ideologia bellicista nel processo formativo e incoraggiando l’arruolamento delle giovani generazioni.

Crediamo che l’Università di Pisa possa e debba esprimere principi e valori alternativi rispetto all’attuale tendenza militarista. L’istituzione dei corsi di laurea in Scienze per la Pace,  la presenza del Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace, l’adesione alla Rete delle Università per la Pace indicano la volontà e la possibilità di promuovere saperi critici e incompatibili con un orizzonte di guerra. Crediamo sia importante  valorizzare ancora di più il ruolo dell’Università come istituzione civile e culturale, promotrice di pace e giustizia. Ciò significa, innanzitutto, facilitare la costruzione di spazi di discussione e cooperazione contro l’escalation militare in corso, mettere a disposizione i propri spazi per permettere l’incontro di studenti, società civile, associazioni, movimenti e aprire un dialogo con la cittadinanza, a sostegno di un percorso di mobilitazione per la pace. 

Questa può essere un’occasione per discutere il ruolo delle istituzioni universitarie in relazione all’industria bellica, la non neutralità della ricerca, del trasferimento tecnologico e dei saperi tra i settori civili e militari, che possa portare anche a revocare gli accordi che l’Università di Pisa ha con aziende produttrici di armi e legate alla filiera bellica quali Leonardo SpA, MBDA Italia SpA, Beretta SpA, HPE Coxa e altre. In questo quadro, l’Università può dare un contributo importante nel mettere radicalmente in discussione l’idea che la guerra sia un fatto ineludibile e permanente nelle nostre vite.

L’Università di Pisa, come istituzione votata alla ricerca e alla conoscenza, può dare un contributo concreto a democratizzare il governo del territorio di cui fa parte, favorendo la decisionalità della cittadinanza e di tutte le persone che lo abitano rispetto alle politiche di guerra che vengono imposte alla società, in cui si inserisce anche la costruzione della nuova base militare.

Fondamentali decisioni collettive, che riguardano l’impiego delle risorse economiche, devono essere oggetto di discussione pubblica: è il caso dei 190 milioni sottratti dal fondo di Coesione e Sviluppo per il progetto della nuova base militare, che dovrebbe ospitare il Gruppo di Intervento Speciale e il 1º reggimento paracadutisti “Tuscania”. Il problema è di scala europea: è recente la decisione dell’Europarlamento di dirottare i fondi del PNRR verso le crescenti spese militari. Mentre aumenta la spesa in armamenti, assistiamo a un progressivo definanziamento del mondo dell’istruzione, con le università che avrebbero bisogno di nuovi investimenti per la ricerca pubblica, per l’accessibilità e il diritto allo studio, per la promozione di saperi critici e rivolti allo sviluppo civile della società e dell’essere umano in un contesto di pace.

Abbiamo deciso, in un’assemblea pubblica, di organizzare un campeggio nei giorni 13-16 luglio dal nome “Fermare l’escalation” in cui concretizzare una prospettiva di cooperazione, dialogo e mobilitazione per la pace e per la demilitarizzazione della società, a partire da un confronto nazionale con persone e realtà associative e politiche provenienti da tutta Italia. Riteniamo che la località “Tre Pini”, a San Piero a Grado, di proprietà dell’Università di Pisa, rappresenti simbolicamente l’area ideale dove svolgere questo campeggio: posta proprio all’interno del Parco Naturale di San Rossore, tra i campi in uso dal Dipartimento di Agraria  e le aree già fortemente militarizzate del CISAM e di Camp Darby. Un’area che è stata, per anni, luogo di incontro e di scambio di realtà associative, come i gruppi scout, che hanno visto progressivamente restringere il loro spazio di agibilità.

Per questo chiediamo pubblicamente all’Università di Pisa, nello spirito di promozione dei valori democratici e di una cultura di pace, di facilitare il confronto e il dialogo collettivo nel territorio pisano contro l’escalation, mettendo a disposizione i propri terreni per lo svolgimento del campeggio

Pisa ha la possibilità di essere centrale nel processo di costruzione di una pace autentica, non retorica, che parta dai territori e dall’autodeterminazione di chi li abita. Allo stesso modo, riteniamo sia una responsabilità collettiva contribuire attivamente alla demilitarizzazione dei nostri territori, dell’economia e della cultura, e sostenere la promozione dei percorsi di attivazione che si stanno costruendo, a livello locale e nazionale, per fermare l’escalation bellica.

Fermare l’escalation: report dell’assemblea nazionale

Fermare l’escalation: report dell’assemblea nazionale

Nessuna base per nessuna guerra

In questa tre giorni abbiamo esplorato l’impatto della militarizzazione sul nostro territorio percorrendo il perimetro del CISAM con le biciclette e poi in centinaia ci siamo confrontatə su inquinamento, sottrazione di risorse e manipolazione della cultura e della scuola in funzione di essa. Abbiamo conosciuto l’esperienza francese dialogando con Les Soulèvements de la terre e giocato con lə bambinə. Sotto la luna piena abbiamo assistito ad uno spettacolo teatrale sulla guerra, contro la guerra. Sabato 4 giugno ci siamo incontratə in più di trecento dal stivale e dalle isole per capire cosa fare insieme per fermare l’escalation bellica. 

Sindacati e movimenti di lavoratorə, associazioni ambientaliste ed ecologiste, movimenti sociali e transfemministi, realtà antimilitariste e pacifiste. È stata un’assemblea poliedrica che a un anno dalla manifestazione del 2 giugno scorso a Coltano ha espresso con forza la volontà di costruire un processo di risposta alla pericolosa escalation bellica e militare.

La prima tappa condivisa di questo processo sarà il campeggio a metà luglio (weekend 15/16 luglio) nel nostro territorio. Da qui l’obiettivo è continuare queste relazioni in tutte le date emerse e raccolte nel calendario. Per poi ritrovarsi in un’altro appuntamento assembleare di carattere nazionale dove convergere nuovamente.

Al di là dei singoli appuntamenti in tantə hanno manifestato la voglia di essere parte di un processo comune, tutto da immaginare insieme, che valorizzi le lotte sui territori, ma che le ponga in una prospettiva di mobilitazione generale, obiettivo per cui il territorio tra Pisa e Livorno, contaminato dalla guerra e preda delle nuove basi militari, si è già messo a disposizione. 

Le tante realtà presenti hanno espresso la necessità di andare oltre la ritualità della scadenza rivendicativa per lavorare con efficacia verso un obiettivo comune che tenga insieme le complessità e le diverse forme di attivazione. Riuscire a farlo sarà responsabilità di tuttə e sarà importante lavorare nel costruire relazioni sempre più forti tra le lotte in corso: lottare insieme non deve essere per forza fare tuttə la stessa cosa!

L’esigenza di creare insieme una cornice politica comune che allarghi la capacità di consenso e produca conflitto è emersa in numerosi interventi, come l’idea di un’opposizione alla militarizzazione e alla guerra che ne identifichi e ne blocchi gli effetti prodotti su tutti gli ambiti della vita: da quello economico a quello sociale, dal mondo della formazione a quello della sanità. Un blocco che sia sciopero dal lavoro produttivo e riproduttivo. Per riuscire a farlo dobbiamo parlare con lə operaiə della filiera bellica oggi che sono anche le donne che nelle grandi città come nei piccoli paesi svolgono lavoro di cura, mogli di militari, lavanderie, agricoltori, allevatori, chi prende gli indennizzi, lavoratorə della ristorazione. 

Perché siamo contro l’escalation

Questi effetti, di cui si è parlato nella prima parte dell’assemblea sono gravissimi in tutti i territori e si manifestano in forme molto diversificate, tra cui: 

  • aumento basi e siti militari: i territori vengono frammentati, si sottraggono risorse e salute alla popolazione; ma anche l’impatto ambientale sull’ecosistema è devastante.
  • c’è una forte concentrazione di questi hub in alcuni territori: il 60% del demanio militare è in Sardegna
  • intensificarsi delle esercitazioni
  • aumento della propaganda militarista nella società 
  • intervento sistemico del comparto bellico nella formazione e nella ricerca
  • legame tra guerra e aumento della repressione sociale
  • fondi dirottati su spese belliche, servizi sui territori sempre più carenti (sanità, asili nido, case popolari..)
  • Confini sempre più blindati
  • presenza sempre più invadente di corpi armati e forze dell’ordine sui nostri territori

La crisi climatica e l’inquinamento sono legate a doppio filo con la guerra, strumento con cui si procede all’ulteriore estrazione di risorse fossili attraverso missioni militari all’estero e produzione di disordine globale. Il nesso tra la costruzione di hub militari e di hub energetici è evidente negli intenti e nelle ricadute sui territori. 

Il governo mostra il suo vero volto guerrafondaio, patriarcale ed ecocida proprio in queste settimane: durante l’alluvione in Emilia Romagna sono state inserite nel DL di aiuti delle manovre semplificate per la costruzione del rigassificatore di Ravenna, ancora allagata. Da qui, ci siamo dettə chiaramente che se lottiamo contro la guerra siamo contro il fossile e viceversa. 

Negli stessi giorni sono stati approvati 14 miliardi per la costruzione sullo stretto di Messina. Un’opera che oltre ad essere devastante ha chiare implicazioni militari. 


Cosa vogliamo fare insieme contro l’escalation?

Il quadro generale dunque è già drammatico, ma fortissima è la volontà di immaginare nuove possibilità di opposizione e blocco. 

É in quest’ottica che nel corso della seconda parte dell’assemblea si è delineata la volontà di costruzione di prospettive pratiche unite ad alcune basi di partenza comuni. Il campeggio, e gli altri che ci saranno durante l’estate, saranno momenti concreti in cui approfondire e organizzarci oltreché lottare assieme a partire dalla questione di desecretare la guerra. Svelare la banalità del male della guerra e restituire a ogni persona il proprio ruolo in questo processo.

L’assemblea concorda nel voler lavorare costantemente nella quotidianità dei territori, ma avere anche dei passaggi tuttə insieme.

Sono emerse alcune pratiche locali e globali da poter costruire assieme: 

  • campagne tematiche congiunte (su uso dei Fondi di Coesione Sociale e sviluppo per alimentare l’economia di guerra, su scuola,  ecc.)
  • manifestazioni
  • campeggi
  • blocco dell’invio delle armi
  • sciopero dal lavoro produttivo e riproduttivo
  • intervento nelle scuole e nelle università
  • mappatura delle infrastrutture materiali e immateriali di guerra

Sarà importantissimo concentrare parte del futuro lavoro sul mondo della formazione e sulla produzione di sapere. La questione del sapere è centrale: siamo sapere vivente da mettere a disposizione dei territori, come lo approfondiamo? Come continuiamo ad aumentarlo? Come ci siamo arrivatə e possiamo condividerlo? 

Tutto questo vogliamo continuare a svilupparlo insieme, senza perdere di vista l’urgenza delle singole lotte territoriali ma anzi potenziandole in una lotta comune contro l’escalation!