21 ottobre 2023, San Piero a Grado – Pisa: manifestazione nazionale a generale per fermare l’escalation, per fermare la base.

21 ottobre 2023, San Piero a Grado – Pisa: manifestazione nazionale a generale per fermare l’escalation, per fermare la base.

Breve storia del nostro movimento

Mappatura territorio intorno a nuovo progetto della Base e al punto di partenza del corteo del 21/10

Il Movimento no base – né a Coltano né altrove è nato dall’impeto di centinaia di persone che nell’aprile del 2022 decisero di contrapporsi al decreto ministeriale del governo Draghi, che tenendo all’oscuro la popolazione, prelevava 190 mln di euro dal fondo coesione sociale e sviluppo (pnrr) per la cementificazione armata di 73 ettari del parco regionale di San Rossore, Migliarino e Massaciuccoli, in località Coltano. Il movimento No Base, ha creato le condizioni per la partecipazione diffusa e trasversale affinchè quest’opera inutile, dannosa e pericolosa non abbia mai luce. Il coinvolgimento degli abitanti del luogo e il dialogo con il comitato territoriale con la costruzione del percorso “rinasce coltano”, e l’apertura del movimento a realtà politiche sociali e pacifiste ha scatenato in mille forme una mobilitazione che il 2 giugno del 2022 ha portato diecimila persone a “difendere” Coltano ed a ripudiare la grande opera di guerra. Da subito è stato chiaro che la costruzione della base militare per i reparti speciali dei carabinieri Gis e Tuscania avesse una funzione di coronamento dell’hub bellico che fa della zona pisano-livornese un complesso articolato di infrastrutture e caserme decisivo e strategico nella proiezione militare del nostro paese nell’est Europa e nel nord Africa

Camp Darby, porto di Livorno e industrie estrattive (raffinerie, gas); aeroporto militare della 46esima; cisam, caserme della folgore sono solo alcuni significativi punti che costellano la nostra zona. Il massiccio invio di armi per il proseguimento del conflitto Ucraino-Russo rappresenta solo l’ultimo ed evidente atto di una economia di guerra che sostituisce qualsiasi elemento democratico nel nostro paese per l’impiego delle risorse pubbliche. Il movimento no base ha reso espliciti quali siano gli stretti legami tra guerra, estrattivismo, formazione e cultura della guerra, cambiamento climatico e furto delle risorse pubbliche a beneficio del complesso militare industriale. Di fronte alla voracità istituzionale di sfruttare terra e risorse per la guerra, la determinazione del NO alla base militare contiene il “per questo, per altro e per tutto” che negli stessi mesi ha inondato le piazze al grido “insorgiamo” promosso dal collettivo di fabbrica GKN.

Manifestazione
2 giugno 2022

Le diecimila persone del 2 giugno 2022 sono state quella “potenza moltiplicatrice dei movimenti”, che ha generato contraddizioni nell’assetto istituzionale e soprattutto ha smosso territori e bisogni che hanno individuato in questa battaglia una voce significativa anche per prendere posizione contro l’escalation bellica. Il “vecchio” decreto Draghi per la costruzione della base militare a Coltano è stato affiancato da un nuovo decreto che dall’estate 2022 ha dato il via a un tavolo inter-istituzionale con l’obiettivo di individuare altre zone rispetto all’ipotesi originaria, senza venir meno alle caratteristiche “strategiche” della collocazione. In questo anno le dinamiche politiche istituzionali, attivate già dal ministero della difesa quota PD Guerini e rilanciate da Crosetto, hanno avuto come scopo quello di tentare di disarticolare la marea di protesta, confidando nella “smobilitazione”, e individuare una operazione di governance più appropriata rispetto al contesto sociale mutato grazie alla lotta mantenendo intatta la dimensione essenziale dell’operazione militare. Così nasce la vulgata mainstream, strillata da ogni attore politico di centro destra e centro sinistra, della “base diffusa”, senza consumo di suolo, senza “impatto negativo” sulla popolazione. Una versione più sofisticata del primo bieco tentativo di spacciare 73 ettari a Coltano di cemento armato come “caserma green”, affidandosi alla presenza di un reparto a cavallo di carabinieri “della biodiversità”.

Il tavolo del 6 ottobre: L’ignavia delle rappresentanze istituzionali. La variabile del movimento contro l’Hub militare della guerra.

Il movimento “aveva visto giusto”. Dopo un anno di attesa il 6 settembre 2023, a Roma, tutti gli attori politici degli Enti locali e dell’Ente Parco hanno approvato al buio, senza avere per le mani neanche uno straccio di piano di fattibilità, le linee guida dell’operazione presentate dal Commissario straordinario nominato dal Governo Meloni che comunque dicono già l’essenziale. A Pontedera si farà un autodromo per le esercitazioni cementificando una importante fetta di territorio; a Coltano i Carabinieri si prenderebbero gli edifici storici e pubblici (la Villa Medicea, l’ex Stazione Marconi e le stalle del Buontalenti) sottraendoli di fatto all’uso pubblico che la popolazione chiedeva; tutto il resto dell’intervento – quello previsto in origine – verrebbe piazzato in blocco all’interno dell’area ex-Cisam, nei pressi di San Piero a Grado, area “offerta” prontamente e spontaneamente dal Presidente dell’Ente Parco, Lorenzo Bani, come se fosse sua proprietà, pienamente disponibile. 

Ma come la precedente anche questa operazione è un misto di prevaricazione e di mistificazione, preludio di un disastro ambientale senza ritorno e della ulteriore conformazione bellica per il territorio pisano-livornese.L’area ex-Cisam, infatti è in un’area interna del Parco e non in un’area contigua, quindi con un grado di importanza ambientale e un livello di tutela decisamente alto; è in un’area quasi totalmente boscata (circa di 15 ettari utilizzati su quasi 500) e con una copertura boschiva relativamente integra perché non frequentata da anni; è un’area inserita in un contesto di grande pregio ambientale come la tenuta di Tombolo. L’area ex-Cisam, insomma, è nel cuore di una più vasta area che nel corso dei decenni la Regione Toscana, l’UNESCO e l’Unione Europea hanno – indipendentemente tra loro – ritenuto meritevole di speciali misure di tutela. In modo paradossale l’organismo demandato alla tutela ambientale – cioè l’Ente Parco – fa la cosa esattamente opposta: invece di rinaturalizzare l’area – come potrebbe e dovrebbe – la “regala” a chi vuole cementificare a tappeto e farne un formidabile attrattore di traffico e di inquinamento. È in un’area di questa importanza ambientale che Governo, Arma dei Carabinieri, Enti Locali ed Ente Parco hanno concordato di spalmare una crosta di cemento e di acciaio di decine (50? 60? 70? 75? chi li controlla più, ormai) di ettari che diventerà il polo di attrazione di un diluvio di traffico pesante e leggero, con centinaia di persone che vi lavoreranno e vivranno con tutto l’impatto ambientale che ciò comporta, in particolare quello relativo alle previste esercitazioni militari.

I tre territori che verranno investiti dalla costruzione della base secondo il nuovo progetto

Tutto questo va impedito: fermare l’escalation, fermare la base

A metà luglio 2023 abbiamo organizzato a San Piero a Grado, a ridosso dell’area CISAM, in un terreno dell’università, il campeggio “fermare l’escalation”. Centinaia di persone provenienti da movimenti e realtà pacifiste, antimilitariste, ecologiste, transfemministe, territoriali e sindacali, hanno sentito l’esigenza di mettersi in cammino per fare la propria parte, nello schierarsi contro la guerra e impedire l’escalation bellica provando a inceppare la costruzione di nuove basi militari, opere di devastazione ambientale e fabbriche di armi.  

“Fermare l’escalation” è un percorso di convergenza di lotte ed esperienze che sentono la necessità di opposizione alla militarizzazione dei territori, al sistematico drenaggio economico a vantaggio delle spese militari, alla propaganda armata e alla cultura della guerra, l’imposizione di zone di sacrificio in funzione dell’occupazione militare e delle industrie estrattive del fossile. Base di questa piattaforma è la comune considerazione del legame tra fenomeni diversi e la filiera della guerra e la garanzia che opporsi alle singole opere di questa militarizzazione della società sia indispensabile per bloccare la tendenza guerrafondaia in cui siamo sempre più proiettati anche come popolazione europea.

“Fermare l’escalation” significa reagire a l’irresponsabilità della classe politica nel suo complesso, schierata in maniera esplicita o ignava per l’occupazione militare del parco naturale e dei territori. Il 21 ottobre sarà una giornata di mobilitazione nazionale e generale in diverse città del Paese, ad oggi sacrificate all’escalation bellica. Basi militari, industrie di armi, grandi opere in funzioni della guerra, depositi nucleari… non sono astrazioni, ma toccano terra violentemente impattando sulla quotidianità. Ed è lì che possiamo fermarli. Il 21 ottobre a San Piero a Grado avremo l’occasione di fermare la costruzione dell’ennesima grande opera militare, una ribellione di ambienti indisponibili a essere mezzo per la distruzione della specie e dell’ecosistema.  L’occasione è quella di difendere i nostri territori e dare un netto messaggio di contrarietà alla guerra.

Non si può cementificare il cuore di un’area protetta, in spregio a tutta la normativa ambientale. Non si può continuare a militarizzare una zona come quella pisana che è già uno degli snodi militari più grandi dell’intero Mediterraneo. Non si può continuare a buttare soldi – che sono invece sempre più necessari per il risanamento ambientale e per la lotta alle diseguaglianze – in spese militari che per forza di cose si autoalimentano e alimentano la pericolosa spirale bellica globale.

Il 21 ottobre nasce da un lucido quanto coraggioso pensiero collettivo. Solo la protesta della popolazione, con i nostri corpi, le nostre ragioni, le nostre energie, può impedire la costruzione della nuova base militare e ostacolare concretamente l’escalation bellica.

Ci vediamo a San piero a Grado!

Per seguire la preparazione della manifestazione, portare il tuo aiuto, supportare il movimento nella lotta contro il progetto della base seguici su Telegram al canale: ORGANIZZIAMOCI! – Movimento no Base o sulle nostre pagine fb/Instagram: Movimento No Base

Una breccia per fermare l’escalation bellica

Una breccia per fermare l’escalation bellica

Comunicato conclusivo del campeggio “Fermare l’escalation”.

Si è concluso positivamente il campeggio “Fermare l’Escalation”, tenutosi in località “Tre Pini” dal 13 al 16 Luglio, che è stato attraversato da centinaia di persone di realtà associative, collettive, sindacali, sociali e politiche, provenienti dalle città, dallo stivale e dalle isole.

Il campeggio è stato possibile grazie all’impegno di decine di militanti e decine di partecipanti che per tutta la settimana hanno lavorato per rendere accessibili e attraversabili i terreni dell’Università di Pisa. Sono stati predisposti bagni, docce, ponti sui fossi. Sono stati cucinati e serviti più di 900 pasti avendo cura e rispetto dell’ambiente. Centinaia di persone ogni giorno hanno potuto usufruire degli spazi del campeggio immerso all’interno del Parco Naturale ed esplorare la militarizzazione di quello stesso territorio in gran parte inaccessibile. 

Rintracciare la produzione, riproduzione e decifrare la  filiera bellica in ogni tassello che impatta sulla vita quotidiana delle persone è stato il motore del  campeggio che  ha avuto  l’ambizione di immaginare un mondo senza filo spinato e senza guerre a partire dal blocco e dallo scardinamento della cultura militare in ogni sua forma.

In questi quattro giorni, densi di discussioni, iniziative e relazione, abbiamo affrontato i differenti nodi in cui la militarizzazione si esprime e abbiamo esplorato in modo composito e approfondito i legami tra il violento e rapido processo di escalation bellica con il cambiamento climatico, le devastazioni ambientali, le occupazioni militari, la cultura e l’economia di guerra, l’industria bellica e le ricadute sul piano sociale e lavorativo.

Abbiamo visto che è possibile bloccare, o almeno ostacolare, l’escalation nei luoghi della formazione, dalle scuole dell’infanzia alla ricerca, dove la guerra trova la sua legittimazione culturale, la produzione di nuove tecnologie e in cui radica le sue pratiche di arruolamento; nei territori che il capitalismo fossile depreda e svuota in funzione di nuove infrastrutture energetiche, che coincidono sistematicamente con gli investimenti militari nella costruzione di hub di guerra; sui posti di lavoro, dove i salari sono insufficienti a sostenere il carovita e il caro affitti dettati dall’inflazione; nei porti e gli aeroporti, snodi logistici del transito di armi; Nelle case, dove il lavoro di cura rende possibile la riproduzione delle dinamiche belliciste; Nell’investimento dei fondi pubblici per il riarmo e il sostegno all’industria bellica.

Per ogni nodo della produzione e riproduzione della filiera bellica sono state condivise forme di attivazione: dagli scioperi studenteschi al boicottaggio attivo dei progetti militari nelle scuole ed università, dai blocchi dell’invio di armi  al contrasto degli hub energetici e militari, da praticare congiuntamente nel prossimo autunno.


Nella passeggiata di lotta di sabato sera  una breccia é stata aperta tra le reti CISAM (Centro Interforze Studi per le Applicazioni Militari), dando la possibilità alle bandiere del movimento no base di sventolare nella porzione di Parco che dagli anni ‘50 è occupato militarmente, rimarcando la volontà di riappropriarsi dell’area e l’assoluta indisponibilità ad accettare una nuova base in qualsiasi forma e a prescindere da qualunque ipotesi di spacchettamento. Un messaggio chiaro indirizzato al tavolo interistituzionale che si terrà presso il ministero della difesa a Roma il prossimo 6 settembre.
Nell’assemblea conclusiva della domenica si è espressa con entusiasmo e convinzione  la volontà di proseguire collettivamente in questo processo di mobilitazione contro l’escalation bellica nel quadro di una cornice di analisi politica sempre più condivisa. Un primo passo in questa direzione è stata l’indizione di un momento di mobilitazione generale contro l’escalation bellica il 21 ottobre a partire dal territorio tra Pisa e Livorno e dagli altri luoghi che si metteranno a disposizione nei momenti di confronto, organizzazione e relazione dei campeggi previsti nel prosieguo dell’estate.

Muoversi nel conflitto in Toscana. Una piattaforma.

Muoversi nel conflitto in Toscana. Una piattaforma.

Report dall’Assemblea “ENERGIA, AMBIENTE, GUERRA. TERRITORI IN LOTTA CONTRO IL CAMBIAMENTO CLIMATICO

Nelle pubblicità dell’industria turistica la Toscana è rappresentata come un luogo in cui ci si può immergere in una natura fatta di verdi paesaggi collinari, cipressi, vigneti, splendide spiagge e pinete, che offre cibi e vini rinomati. Chi vive e conosce il suo territorio, però, ha la consapevolezza che a questa immagine si contrappongono realtà drammatiche totalmente dissonanti con quella riproduzione oleografica. 

  La devastazione delle Alpi Apuane causata dall’estrazione del marmo. La costa a sud di Livorno divorata dal cemento per almeno 12 chilometri e gravi problemi di erosione dei litorali. Il progetto della pista di Peretola, per la cui attuazione si procede nonostante la bocciatura del TAR. Il progetto dell’autostrada tirrenica. Il piano di quell’ennesima grande opera dal terribile impatto ambientale che è la Darsena Europa. La riapertura, in Valdera, della discarica della Grillaia col conferimento di amianto. Tonnellate di fanghi tossici – scarti della lavorazione delle concerie di Santa Croce sull’Arno (KEu) – nascoste probabilmente con il supporto della ‘Ndrangheta nei sottofondi stradali o seppellite nei cantieri in numerose aree, dall’aeroporto militare di Pisa a Massarosa, Crespina Lorenzana e Peccioli, fino alle aree produttive di Pontedera e Bucine, la strada regionale 429 a Empoli, nella provinciale 26 in Valdelsa, ma anche vicino alla strada di Piantravigne nell’Aretino. Le maleodoranze a Stagno e Calambrone, nell’area del SIN da anni in attesa di bonifica, dove sorge la Raffineria ENI di Livorno. Questi fenomeni di occupazione e impermeabilizzazione di suolo sottratto all’agricoltura e alla vegetazione boschiva, di sconsiderata attività estrattiva, di inquinamento dei terreni e dell’aria con deposito ed emissione di sostanze chimiche e materiali tossici indicano lo stato di degrado ambientale della regione.

  Un degrado non accidentale, ma permesso da un sistema politico nel quale trasversalmente i partiti che governano le istituzioni locali privilegiano gli interessi di imprese e speculatori – e nel quale si introducono anche i poteri della criminalità organizzata – senza alcuna considerazione per la salute e l’incolumità delle persone che vivono nei territori, come dimostrato dallo scandalo Keu o dall’alluvione di Livorno del 2017, dovuta al drammatico connubio tra eventi atmosferici eccezionali – sempre più frequenti a causa del cambiamento climatico – e il perdurante stato di  incuria e cementificazione. 

  Questa politica, però, oltre che il diritto a un ambiente sano, aggredisce anche i diritti di lavoratrici e lavoratori, voltando le spalle dinanzi alle drammatiche condizioni occupazionali, allo sfruttamento, all’insicurezza nei luoghi di lavoro  e in settori molto esposti ad ambienti tossici, come quelli conciario ed edilizio, in cui spesso – per altro – trova impiego la più ricattabile manovalanza immigrata. E, tuttavia, giustifica ipocritamente la necessità di mantenere o avviare attività distruttive per l’ecosistema proprio in nome del lavoro. 

  Quando, però, dismettere una produzione è interesse della proprietà, non c’è scampo alla disoccupazione. Proprio in Toscana hanno saputo dare grande risonanza alla denuncia e allo smascheramento delle mistificazioni di questo sistema politico i lavoratori della GKN, proponendo attivamente un piano industriale per la mobilità sostenibile e una legge contro le delocalizzazioni. Queste iniziative non hanno trovato alcuna sponda né in Parlamento né presso il Governo, in modo del tutto analogo a quanto accade sul piano locale, dove in generale e nel caso specifico gli esponenti politici al potere, oltre a dichiarare una rituale solidarietà di facciata, nulla hanno fatto per sostenere una proposta che non solo tutela il lavoro, ma costituisce un importante contributo per la riconversione ecologica di un’industria storicamente inquinante come quella automobilistica.

  Inoltre nella congiuntura storica attuale si deve registrare un dato dei processi globali che costituisce un punto di svolta di tale rilevanza da investire direttamente anche la nostra Regione: il conflitto russo-ucraino. Questo scontro, fondamentale per la ridefinizione dell’equilibrio geopolitico mondiale, è dunque oggi un fattore politico centrale, che determina un riordino di tutte le priorità in seno ai paesi che vi sono – direttamente o indirettamente – coinvolti.

  Ecco allora calare con prepotenza sul nostro territorio nuovi scempi, collegati direttamente ad essa. Innanzitutto il progetto della base militare di Coltano, una struttura enorme destinata a corpi scelti dell’esercito e già operanti in scenari bellici internazionali (GIS, 1° reggimento paracadutisti Tuscania, reparto centro cinofili), in un’area scelta perché già occupata da importanti strutture militari (Camp Darby, CISAM, COMFOSE, aeroporto militare di Pisa). I gruppi politici di destra e di centrosinistra al governo e all’opposizione nelle istituzioni locali e nazionali hanno ancora una volta dimostrato la loro subalternità ai poteri forti senza tenere in alcuna considerazione l’interesse e la volontà di chi vive il territorio, poiché hanno dichiarato che la base si farà. Stessa acquiescenza, d’altra parte, i medesimi schieramenti hanno manifestato per le infrastrutture previste – dal troncone ferroviario dalla stazione di Tombolo alla base, al terminal di carico e scarico, passando per il ponte girevole sul Canale dei Navicelli – che serviranno unicamente a velocizzare gli spostamenti di armi da e per Camp Darby (che, va ricordato, è la più grande base militare americana di tutta l’area euro-mediterranea nonchè il più grande arsenale USA all’estero). Questo elementi chiariscono bene come nella situazione odierna l’area pisana sia destinata a essere la maggiore piattaforma logistica militare del Paese  funzionale alle attività belliche , mentre si concedono spazi nelle scuole (in Toscana a Pisa e a Livorno) a organizzazioni che propongono corsi di ginnastica dichiaratamente ispirati alla disciplina militare (GDM) e mentre, ancora, un’istituzione prestigiosa come il Sant’Anna stipula una collaborazione con la Divisione Vittorio Veneto, con l’obiettivo di “sviluppare iniziative sui temi di sicurezza e gestione crisi”. 

  L’altro grande scempio è poi il rigassificatore di Piombino. Anche in questo caso la cittadinanza si oppone con determinazione per tutelare la sicurezza e le attività economiche locali, ma l’urgenza di reperire gas attraverso canali alternativi a quelli russi sembra giustificare questo grande progetto, anacronisticamente ancorato all’utilizzo di fonti fossili, proposto come soluzione a tutti i mali, in grado di arrecare un beneficio proprio alla collettività. Contemporaneamente, però, non si pone alcun argine alle speculazioni finanziarie sulla materia prima, né si tassano i sovraprofitti delle multinazionali dell’energia. La spesa per la difesa, invece, di cui è esempio la base di Coltano, favorisce proprio quelle multinazionali, perché i corpi militari speciali che lì si addestrerebbero sono inviati anche in missioni finalizzate a tutelare gli asset delle grandi aziende che, come l’ENI, sul fossile basano i propri elevatissimi profitti. L’Italia risulta essere il primo paese in Europa per spese militari connesse alla difesa di tali asset energetici. Altre significative voci di spesa, inoltre, vanno a beneficio anche dell’industria bellica. L’invio di armi in Ucraina è un grande favore a Leonardo, Fincantieri e altri. Tutto questo si verifica mentre la vita di milioni di persone in questo paese è e sarà sempre più attanagliata dal caro-vita, rispetto al quale il governo non ha implementato nemmeno le più timide misure necessarie ad alleviare il violento impatto dell’ impennata dei prezzi di prima necessità.

  In tante e in tanti eravamo presenti a Coltano l’11 settembre, in un’assemblea che ha riunito  lavoratrici e lavoratori, persone in cerca di occupazione, studente/i che appartengono ad associazioni, sindacati, partiti, movimenti, accomunate/i dall’esperienza diretta nel territorio e sul luogo di lavoro di queste realtà e delle loro conseguenze, che ricadono immediatamente sulle nostre spalle, nonché dalla partecipazione attiva nei diversi luoghi a processi di contrasto degli abusi e di tutela delle comunità di cui si è parte. Nel nostro incontro è emersa anche la comune capacità di individuare nei vari fenomeni un nesso che li unisce, una causa unica, ovvero il modello economico dominante, quello neoliberista, che sfrutta le persone e gli ecosistemi per arricchire gli speculatori dell’industria e della finanza, supportati da un sistema politico a tutti i livelli asservito ai loro interessi, sprezzante di ogni regola democratica, che impone in modo autoritario condizioni lesive dei nostri diritti, sfruttando la logica dell’emergenza per erodere ogni spazio di partecipazione e controllo democratico; capace di portarci anche in guerra senza alcun dibattito parlamentare per rappresentare quegli interessi.

  Oltre alla denuncia, però, si è delineata una visione alternativa di organizzazione dell’economia e dei rapporti politici e sociali.  Abbiamo condiviso la necessità di creare un sistema di produzione, riproduzione e cura che non si basi sull’accumulazione di profitti individuali, ma che sia orientato a soddisfare le necessità delle persone nel rispetto dell’ambiente, dall’agricoltura al sistema dei trasporti. Abbiamo rivendicato processi decisionali che si basino sulla  partecipazione popolare attiva alla vita politica, sociale, economica del Paese, che ci porta a rifiutare come inaccettabile prepotenza le decisioni calate dall’alto che ci danneggiano e ad assumere l’impegno di difendere i nostri diritti e la nostra dignità. Nei nostri mondi già sono in atto pratiche capaci di costituire un’alternativa positiva in questa direzione. Ma l’impegno, per noi, si estende anche alla necessità di essere solidali. Davanti a chi continua a farneticare di modelli competitivi, che spingono un territorio contro l’altro, chi lavora in un’impresa pubblica o privata contro l’altra, noi proponiamo invece la causa comune e il sostegno a tutte le istanze che ancora sono isolate o non hanno avuto la possibilità di essere formulate. Tutte le voci intervenute hanno indicato la via dell’unione delle vertenze. Di fronte a un sistema di potere determinato a espropriarci dei beni comuni indispensabili alla nostra vita, sappiamo di non avere altra alternativa che la convergenza. 

  Su queste basi abbiamo aderito all’iniziativa dei Fridays For Future, partecipando allo sciopero per il clima del 23 settembre scorso, che ci ha dato occasione di rappresentare in modo concreto, portando l’esempio delle nostre situazioni, i problemi e le proposte che anche la loro agenda rilancia. 

  Adesso, consapevoli della pluralità che attraversa questo spazio di discussione e relazione, ci impegniamo a ritrovarci per rafforzarlo e per individuare forme di azione collettive che ci consentano, a partire dalla nostra Regione, di far valere le nostre voci e di immaginare e creare gli spazi e le alternative di cui abbiamo bisogno.

Progetto della base militare

Questo è lo studio di fattibilità della base militare a Coltano, come si vede dalle date, hanno iniziato a pensare al progetto già dal 2019.

Le istituzioni coinvolte non hanno mai presentato questo progetto, l’abbiamo fatto noi la sera dell’8 luglio 2022 in Piazza Ciro Menotti a Pisa