Sabato 21 Ottobre è stata una giornata fondamentale per il Movimento No Base, un primo piccolo ma importantissimo passo per una nuova fase di opposizione alla militarizzazione delle vite, all’escalation bellica e all’impedimento della costruzione della base. Proprio per la sua importanza, in contrapposizione al silenzio o ai racconti parziali e volutamente riduttivi dei media mainstream, in questa pagina sta venendo raccolto tutto ciò che è stato condiviso con il Movimento no Base da chi ha partecipato alla manifestazione e tutto ciò che è stato pubblicato per la restituzione completa della mobilitazione.
Comunicato stampa a seguito della manifestazione del 21 ottobre a San Piero a Grado
L’imponente corteo per “Fermare l’escalation”, promosso dal movimento No Base e partecipato da più di 5mila persone sotto la pioggia, è terminato con una invasione di massa che ha divelto le reti della base militare del Cisam, dove è prevista la nuova collocazione per la base militare dei Gruppi Intervento Speciale dei Carabinieri inizialmente pensata dal governo nella tenuta di Coltano.
Decine e decine di metri di filo spinato sono caduti facendo entrare, a poca distanza dai plotoni di forze dell’ordine, centinaia di persone in un’area fino ad oggi militarizzata e preclusa alla cittadinanza. Centinaia di persone hanno piantato su quel terreno bandiere della pace e del movimento no base, portando un duplice e chiaro messaggio: nessuna base in area che dovrebbe essere rinaturalizzata per nessuna guerra. Si è così conclusa la manifestazione, dopo aver affrontato una pioggia battente e dato voce alle tante esperienze e realtà sociali, transfemministe, sindacali e politiche che si sono unite contro l’escalation di guerra, tra cui realtà per la Palestina e anche il movimento per la liberazione del Kurdistan. La presenza di movimenti territoriali, realtà pacifiste e in lotta per l’autodeterminazione dei popoli non si è fermata solo alla fortissima denuncia delle catastrofi che “guerra, armi e fossile” stanno producendo per tutta la società e l’ambiente, ma ha voluto mettere in pratica il messaggio che è possibile e necessario prendere posizione e parte attiva contro la pericolosa corsa verso una sempre più concreta possibilità di terza guerra mondiale. Un impegno collettivo quello assunto con la manifestazione del 21 ottobre: impedire che né un centimetro di suolo naturale e né un centesimo vengano destinati all’economia di guerra. Il corteo ha espresso con evidenza l’esigenza di un conflitto tra una variegata e determinata popolazione che vuole la pace, la democrazia e garanzie sociali e chi vuole portare avanti, nelle segrete stanze della istituzioni, i progetti di infrastrutture militari destinati da un lato a devastare i territori locali e dell’altro ad alimentare la guerra a livello internazionale. Una politica che porta svantaggi alle comunità locali ed esporta morte all’estero che deve essere invertita, per questo ribadiamo che la giornata di ieri è solo una tappa di un processo più ampio per fermare l’escalation.
Mappatura territorio intorno a nuovo progetto della Base e al punto di partenza del corteo del 21/10
Il Movimento no base – né a Coltano né altrove è nato dall’impeto di centinaia di persone che nell’aprile del 2022 decisero di contrapporsi al decreto ministeriale del governo Draghi, che tenendo all’oscuro la popolazione, prelevava 190 mln di euro dal fondo coesione sociale e sviluppo (pnrr) per la cementificazione armata di 73 ettari del parco regionale di San Rossore, Migliarino e Massaciuccoli, in località Coltano. Il movimento No Base, ha creato le condizioni per la partecipazione diffusa e trasversale affinchè quest’opera inutile, dannosa e pericolosa non abbia mai luce. Il coinvolgimento degli abitanti del luogo e il dialogo con il comitato territoriale con la costruzione del percorso “rinasce coltano”, e l’apertura del movimento a realtà politiche sociali e pacifiste ha scatenato in mille forme una mobilitazione che il 2 giugno del 2022 ha portato diecimila persone a “difendere” Coltano ed a ripudiare la grande opera di guerra. Da subito è stato chiaro che la costruzione della base militare per i reparti speciali dei carabinieri Gis e Tuscania avesse una funzione di coronamento dell’hub bellico che fa della zona pisano-livornese un complesso articolato di infrastrutture e caserme decisivo e strategico nella proiezione militare del nostro paese nell’est Europa e nel nord Africa
Camp Darby, porto di Livorno e industrie estrattive (raffinerie, gas); aeroporto militare della 46esima; cisam, caserme della folgore sono solo alcuni significativi punti che costellano la nostra zona. Il massiccio invio di armi per il proseguimento del conflitto Ucraino-Russo rappresenta solo l’ultimo ed evidente atto di una economia di guerra che sostituisce qualsiasi elemento democratico nel nostro paese per l’impiego delle risorse pubbliche. Il movimento no base ha reso espliciti quali siano gli stretti legami tra guerra, estrattivismo, formazione e cultura della guerra, cambiamento climatico e furto delle risorse pubbliche a beneficio del complesso militare industriale. Di fronte alla voracità istituzionale di sfruttare terra e risorse per la guerra, la determinazione del NO alla base militare contiene il “per questo, per altro e per tutto” che negli stessi mesi ha inondato le piazze al grido “insorgiamo” promosso dal collettivo di fabbrica GKN.
Manifestazione 2 giugno 2022
Le diecimila persone del 2 giugno 2022 sono state quella “potenza moltiplicatrice dei movimenti”, che ha generato contraddizioni nell’assetto istituzionale e soprattutto ha smosso territori e bisogni che hanno individuato in questa battaglia una voce significativa anche per prendere posizione contro l’escalation bellica. Il “vecchio” decreto Draghi per la costruzione della base militare a Coltano è stato affiancato da un nuovo decreto che dall’estate 2022 ha dato il via a un tavolo inter-istituzionale con l’obiettivo di individuare altre zone rispetto all’ipotesi originaria, senza venir meno alle caratteristiche “strategiche” della collocazione. In questo anno le dinamiche politiche istituzionali, attivate già dal ministero della difesa quota PD Guerini e rilanciate da Crosetto, hanno avuto come scopo quello di tentare di disarticolare la marea di protesta, confidando nella “smobilitazione”, e individuare una operazione di governance più appropriata rispetto al contesto sociale mutato grazie alla lotta mantenendo intatta la dimensione essenziale dell’operazione militare. Così nasce la vulgata mainstream, strillata da ogni attore politico di centro destra e centro sinistra, della “base diffusa”, senza consumo di suolo, senza “impatto negativo” sulla popolazione. Una versione più sofisticata del primo bieco tentativo di spacciare 73 ettari a Coltano di cemento armato come “caserma green”, affidandosi alla presenza di un reparto a cavallo di carabinieri “della biodiversità”.
Il tavolo del 6 ottobre: L’ignavia delle rappresentanze istituzionali. La variabile del movimento contro l’Hub militare della guerra.
Il movimento “aveva visto giusto”. Dopo un anno di attesa il 6 settembre 2023, a Roma, tutti gli attori politici degli Enti locali e dell’Ente Parco hanno approvato al buio, senza avere per le mani neanche uno straccio di piano di fattibilità, le linee guida dell’operazione presentate dal Commissario straordinario nominato dal Governo Meloni che comunque dicono già l’essenziale. A Pontedera si farà un autodromo per le esercitazioni cementificando una importante fetta di territorio; a Coltano i Carabinieri si prenderebbero gli edifici storici e pubblici (la Villa Medicea, l’ex Stazione Marconi e le stalle del Buontalenti) sottraendoli di fatto all’uso pubblico che la popolazione chiedeva; tutto il resto dell’intervento – quello previsto in origine – verrebbe piazzato in blocco all’interno dell’area ex-Cisam, nei pressi di San Piero a Grado, area “offerta” prontamente e spontaneamente dal Presidente dell’Ente Parco, Lorenzo Bani, come se fosse sua proprietà, pienamente disponibile.
Ma come la precedente anche questa operazione è un misto di prevaricazione e di mistificazione, preludio di un disastro ambientale senza ritorno e della ulteriore conformazione bellica per il territorio pisano-livornese.L’area ex-Cisam, infatti è in un’area interna del Parco e non in un’area contigua, quindi con un grado di importanza ambientale e un livello di tutela decisamente alto; è in un’area quasi totalmente boscata (circa di 15 ettari utilizzati su quasi 500) e con una copertura boschiva relativamente integra perché non frequentata da anni; è un’area inserita in un contesto di grande pregio ambientale come la tenuta di Tombolo. L’area ex-Cisam, insomma, è nel cuore di una più vasta area che nel corso dei decenni la Regione Toscana, l’UNESCO e l’Unione Europea hanno – indipendentemente tra loro – ritenuto meritevole di speciali misure di tutela. In modo paradossale l’organismo demandato alla tutela ambientale – cioè l’Ente Parco – fa la cosa esattamente opposta: invece di rinaturalizzare l’area – come potrebbe e dovrebbe – la “regala” a chi vuole cementificare a tappeto e farne un formidabile attrattore di traffico e di inquinamento. È in un’area di questa importanza ambientale che Governo, Arma dei Carabinieri, Enti Locali ed Ente Parco hanno concordato di spalmare una crosta di cemento e di acciaio di decine (50? 60? 70? 75? chi li controlla più, ormai) di ettari che diventerà il polo di attrazione di un diluvio di traffico pesante e leggero, con centinaia di persone che vi lavoreranno e vivranno con tutto l’impatto ambientale che ciò comporta, in particolare quello relativo alle previste esercitazioni militari.
Nuovo progetto della Base nell’area CISAM con la differenza tra area già edificata e area da edificare – differenza di consumo di suoloI tre territori che verranno investiti dalla costruzione della base secondo il nuovo progetto
Tutto questo va impedito: fermare l’escalation, fermare la base
A metà luglio 2023 abbiamo organizzato a San Piero a Grado, a ridosso dell’area CISAM, in un terreno dell’università, il campeggio “fermare l’escalation”. Centinaia di persone provenienti da movimenti e realtà pacifiste, antimilitariste, ecologiste, transfemministe, territoriali e sindacali, hanno sentito l’esigenza di mettersi in cammino per fare la propria parte, nello schierarsi contro la guerra e impedire l’escalation bellica provando a inceppare la costruzione di nuove basi militari, opere di devastazione ambientale e fabbriche di armi.
“Fermare l’escalation” è un percorso di convergenza di lotte ed esperienze che sentono la necessità di opposizione alla militarizzazione dei territori, al sistematico drenaggio economico a vantaggio delle spese militari, alla propaganda armata e alla cultura della guerra, l’imposizione di zone di sacrificio in funzione dell’occupazione militare e delle industrie estrattive del fossile. Base di questa piattaforma è la comune considerazione del legame tra fenomeni diversi e la filiera della guerra e la garanzia che opporsi alle singole opere di questa militarizzazione della società sia indispensabile per bloccare la tendenza guerrafondaia in cui siamo sempre più proiettati anche come popolazione europea.
“Fermare l’escalation” significa reagire a l’irresponsabilità della classe politica nel suo complesso, schierata in maniera esplicita o ignava per l’occupazione militare del parco naturale e dei territori. Il 21 ottobre sarà una giornata di mobilitazione nazionale e generale in diverse città del Paese, ad oggi sacrificate all’escalation bellica. Basi militari, industrie di armi, grandi opere in funzioni della guerra, depositi nucleari… non sono astrazioni, ma toccano terra violentemente impattando sulla quotidianità. Ed è lì che possiamo fermarli. Il 21 ottobre a San Piero a Grado avremo l’occasione di fermare la costruzione dell’ennesima grande opera militare, una ribellione di ambienti indisponibili a essere mezzo per la distruzione della specie e dell’ecosistema. L’occasione è quella di difendere i nostri territori e dare un netto messaggio di contrarietà alla guerra.
Non si può cementificare il cuore di un’area protetta, in spregio a tutta la normativa ambientale. Non si può continuare a militarizzare una zona come quella pisana che è già uno degli snodi militari più grandi dell’intero Mediterraneo. Non si può continuare a buttare soldi – che sono invece sempre più necessari per il risanamento ambientale e per la lotta alle diseguaglianze – in spese militari che per forza di cose si autoalimentano e alimentano la pericolosa spirale bellica globale.
Il 21 ottobre nasce da un lucido quanto coraggioso pensiero collettivo. Solo la protesta della popolazione, con i nostri corpi, le nostre ragioni, le nostre energie, può impedire la costruzione della nuova base militare e ostacolare concretamente l’escalation bellica.
Ci vediamo a San piero a Grado!
Per seguire la preparazione della manifestazione, portare il tuo aiuto, supportare il movimento nella lotta contro il progetto della base seguici su Telegram al canale: ORGANIZZIAMOCI! – Movimento no Baseo sulle nostre pagine fb/Instagram: Movimento No Base
Ricondividiamo di seguito l’appello redatto come Fermare l’Escalation verso la grande mobilitazione del 21 ottobre che vedrà il nostro territorio attraversato da una grande manifestazione centrale per la nostra lotta contro la base (anche visti gli ultimi aggiornamenti), ma anche per l’espressione di un’opposizione chiara all’’escalation militare e patriarcale globale che stiamo affrontando, con conseguenze rovinose per i territori e le vite delle persone che li abitano e attraversano.
C’è una stretta connessione tra la militarizzazione dei territori in cui viviamo e le politiche di guerra che l’attuale governo conduce in continuità con quelli precedenti. Per questo la lotta contro la militarizzazione e la costruzione di nuove basi militari deve intrecciarsi con la lotta per fermare l’escalation globale verso la guerra. In tale prospettiva “Fermare l’escalation” nasce come processo di mobilitazione di diverse realtà di lotta politica, sindacale, sociale, ecologica, transfemminista, dell’associazionismo, del mondo antimilitarista, pacifista e di quello della giustizia climatica, dei nodi territoriali contro le grandi opere, i disastri ambientali ed il fossile.
“Le guerre non scoppiano, si preparano”, è una delle espressioni che abbiamo pronunciato più volte: come possiamo fare in modo di costruire una fiducia nella possibilità di inceppare questa preparazione?
L’escalation che stiamo affrontando è globale e ha conseguenze rovinose per i territori e le vite delle persone che li abitano e attraversano. In questa realtà fatta di schemi patriarcali, guerrafondai, capitalisti ed ecocidi vogliamo andare oltre ogni binarismo, contro Putin e contro la NATO, mettendo a tema quanto sia fondante la guerra per il sistema distruttivo in cui viviamo e per la sua riproduzione e quindi rifiutandola in tutti i suoi aspetti e dinamiche.
Questo alle nostre latitudini si confronta, oltre che con il militarismo italiano, con la ripresa del nucleare civile e militare e con la con la presenza massiccia di basi e logistiche militari USA e NATO utilizzate per mantenere un ordine di dominio globale strategico i cui costi vengono pagati dalle popolazioni.
Il controllo e l’investimento sulle fonti energetiche, soprattutto fossili, rappresenta uno dei modi attraverso cui si ridisegnano le sfere di influenza mondiali dalle quali dobbiamo uscire, da est a ovest, da nord a sud. Le guerre ne sono naturale conseguenza: l’escalation militare in cui fossile e guerra sono intrecciate si configura come una forma di estrattivismo neocoloniale.
In maniera trasversale vediamo un irrigidimento ulteriore della cultura patriarcale e nazionalista e dei ruoli di genere ad essa associati, che trova massima espressione nella cultura della guerra e ne è fondamento. È in costante aumento la violenza di genere, perché la promozione del militarismo come unica prospettiva è alla base di ogni cultura dello stupro. Questo nel nostro paese si accompagna al restringimento dei diritti riproduttivi e genitoriali, che sta nel quadro di un attacco a questi diritti attivo in tutta Europa.
L’economia di guerra sottrae risorse e possibilità alla popolazione: mentre miliardi vengono spesi in armamenti e militarizzazione assistiamo alla cancellazione del Reddito di Cittadinanza, tagli ai servizi ed al welfare sempre più privatizzato. La guerra è anche uno strumento per togliere risorse allə più deboli per accentrarle nelle mani dellə più ricchə: la speculazione finanziaria sui prezzi che ha provocato l’inflazione è solo un esempio tra gli altri. C’è inoltre una guerra portata avanti da tempo dall’Unione europea contro i corpi migranti che produce morti, dispositivi securitari e una sempre maggiore militarizzazione delle frontiere.
In questo momento, per contrastare il governo e il partito unico della guerra, c’è l’esigenza di costruire a livello generale e nazionale unprocesso comune di mobilitazione contro l’escalation, che siaradicato in ogni territorio in maniera interconnessa e sinergica. In questo processo comune rientra la mobilitazione generale e nazionale del 21 ottobre, data in cui ci saranno due manifestazioni: a Pisa e in Sicilia, precedute dalla giornata di sciopero generale contro la guerra e l’economia di guerra del 20 ottobre.
I punti centrali del processo di lotta, conoscenza e organizzazione che vogliamo intraprendere riguardano:
La cultura della pace contro quella della guerra e le forme di militarizzazione e disciplinamento negli ambienti formativi;
Il dirottamento dei fondi del PNRR e del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione verso nuovi investimenti per il riarmo e le fonti fossili;
Le occupazioni militari sui territori e la militarizzazione delle frontiere la libertà di movimento delle persone;
Le conseguenze ambientali e sulla salute delle occupazioni militari e della dimensione complessiva di escalation bellica e militarizzazione nel suo legame con l’estrattivismo fossile;
L’aumento dei costi della vita in relazione ai salari e privatizzazione e/o assenza di servizi;
21 OTTOBRE MOBILITAZIONE GENERALE A PISA E IN SICILIA #Fermarelescalation #21ottobrenoescalation
Comunicato conclusivo del campeggio “Fermare l’escalation”.
Si è concluso positivamente il campeggio “Fermare l’Escalation”, tenutosi in località “Tre Pini” dal 13 al 16 Luglio, che è stato attraversato da centinaia di persone di realtà associative, collettive, sindacali, sociali e politiche, provenienti dalle città, dallo stivale e dalle isole.
Il campeggio è stato possibile grazie all’impegno di decine di militanti e decine di partecipanti che per tutta la settimana hanno lavorato per rendere accessibili e attraversabili i terreni dell’Università di Pisa. Sono stati predisposti bagni, docce, ponti sui fossi. Sono stati cucinati e serviti più di 900 pasti avendo cura e rispetto dell’ambiente. Centinaia di persone ogni giorno hanno potuto usufruire degli spazi del campeggio immerso all’interno del Parco Naturale ed esplorare la militarizzazione di quello stesso territorio in gran parte inaccessibile.
Rintracciare la produzione, riproduzione e decifrare la filiera bellica in ogni tassello che impatta sulla vita quotidiana delle persone è stato il motore del campeggio che ha avuto l’ambizione di immaginare un mondo senza filo spinato e senza guerre a partire dal blocco e dallo scardinamento della cultura militare in ogni sua forma.
In questi quattro giorni, densi di discussioni, iniziative e relazione, abbiamo affrontato i differenti nodi in cui la militarizzazione si esprime e abbiamo esplorato in modo composito e approfondito i legami tra il violento e rapido processo di escalation bellica con il cambiamento climatico, le devastazioni ambientali, le occupazioni militari, la cultura e l’economia di guerra, l’industria bellica e le ricadute sul piano sociale e lavorativo.
Abbiamo visto che è possibile bloccare, o almeno ostacolare, l’escalation nei luoghi della formazione, dalle scuole dell’infanzia alla ricerca, dove la guerra trova la sua legittimazione culturale, la produzione di nuove tecnologie e in cui radica le sue pratiche di arruolamento; nei territori che il capitalismo fossile depreda e svuota in funzione di nuove infrastrutture energetiche, che coincidono sistematicamente con gli investimenti militari nella costruzione di hub di guerra; sui posti di lavoro, dove i salari sono insufficienti a sostenere il carovita e il caro affitti dettati dall’inflazione; nei porti e gli aeroporti, snodi logistici del transito di armi; Nelle case, dove il lavoro di cura rende possibile la riproduzione delle dinamiche belliciste; Nell’investimento dei fondi pubblici per il riarmo e il sostegno all’industria bellica.
Per ogni nodo della produzione e riproduzione della filiera bellica sono state condivise forme di attivazione: dagli scioperi studenteschi al boicottaggio attivo dei progetti militari nelle scuole ed università, dai blocchi dell’invio di armi al contrasto degli hub energetici e militari, da praticare congiuntamente nel prossimo autunno.
Nella passeggiata di lotta di sabato sera una breccia é stata aperta tra le reti CISAM (Centro Interforze Studi per le Applicazioni Militari), dando la possibilità alle bandiere del movimento no base di sventolare nella porzione di Parco che dagli anni ‘50 è occupato militarmente, rimarcando la volontà di riappropriarsi dell’area e l’assoluta indisponibilità ad accettare una nuova base in qualsiasi forma e a prescindere da qualunque ipotesi di spacchettamento. Un messaggio chiaro indirizzato al tavolo interistituzionale che si terrà presso il ministero della difesa a Roma il prossimo 6 settembre. Nell’assemblea conclusiva della domenica si è espressa con entusiasmo e convinzione la volontà di proseguire collettivamente in questo processo di mobilitazione contro l’escalation bellica nel quadro di una cornice di analisi politica sempre più condivisa. Un primo passo in questa direzione è stata l’indizione di un momento di mobilitazione generale contro l’escalation bellica il 21 ottobre a partire dal territorio tra Pisa e Livorno e dagli altri luoghi che si metteranno a disposizione nei momenti di confronto, organizzazione e relazione dei campeggi previsti nel prosieguo dell’estate.
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Ci rivolgiamo all’Università di Pisa, al mondo accademico, della ricerca, della scienza e della formazione in relazione al campeggio “Fermare l’escalation” che promuoveremo a Pisa dal 13 al 16 luglio.
Nel momento storico che stiamo attraversando assistiamo a una sempre più pervasiva escalation militare, che coinvolge ogni aspetto delle nostre vite. Vediamo i nostri governi dirottare progressivamente le risorse economiche, materiali e culturali su ambiti di produzione e investimento bellico; aumenta l’occupazione dei territori civili e naturalistici per le esercitazioni militari; si intensifica l’invio delle armi verso le zone di conflitto in tutto il mondo e con esso anche il riarmo generalizzato. In questo contesto, molti territori italiani, compreso il nostro, stanno diventando piattaforme di guerra attraverso la costruzione di basi e infrastrutture militari, portandoci sul crinale di una terza guerra mondiale. Da più di un anno, proprio nel territorio pisano, è stato scoperto un progetto per la costruzione di una nuova base militare, che si inserisce in una zona già ampiamente militarizzata e che contribuisce a questa escalation attraverso il transito e l’invio di armi, l’addestramento di forze speciali e la proiezione dell’Italia negli scenari di guerra in corso e in quelli che verranno.
In questo contesto, anche i luoghi della formazione sono investiti dalla tendenza generale alla guerra: da anni si moltiplicano nelle scuole iniziative volte a normalizzare l’uso internazionale della forza, introducendo elementi di ideologia bellicista nel processo formativo e incoraggiando l’arruolamento delle giovani generazioni.
Crediamo che l’Università di Pisa possa e debba esprimere principi e valori alternativi rispetto all’attuale tendenza militarista. L’istituzione dei corsi di laurea in Scienze per la Pace, la presenza del Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace, l’adesione alla Rete delle Università per la Pace indicano la volontà e la possibilità di promuovere saperi critici e incompatibili con un orizzonte di guerra. Crediamo sia importante valorizzare ancora di più il ruolo dell’Università come istituzione civile e culturale, promotrice di pace e giustizia. Ciò significa, innanzitutto, facilitare la costruzione di spazi di discussione e cooperazione contro l’escalation militare in corso, mettere a disposizione i propri spazi per permettere l’incontro di studenti, società civile, associazioni, movimenti e aprire un dialogo con la cittadinanza, a sostegno di un percorso di mobilitazione per la pace.
Questa può essere un’occasione per discutere il ruolo delle istituzioni universitarie in relazione all’industria bellica, la non neutralità della ricerca, del trasferimento tecnologico e dei saperi tra i settori civili e militari, che possa portare anche a revocare gli accordi che l’Università di Pisa ha con aziende produttrici di armi e legate alla filiera bellica quali Leonardo SpA, MBDA Italia SpA, Beretta SpA, HPE Coxa e altre. In questo quadro, l’Università può dare un contributo importante nel mettere radicalmente in discussione l’idea che la guerra sia un fatto ineludibile e permanente nelle nostre vite.
L’Università di Pisa, come istituzione votata alla ricerca e alla conoscenza, può dare un contributo concreto a democratizzare il governo del territorio di cui fa parte, favorendo la decisionalità della cittadinanza e di tutte le persone che lo abitano rispetto alle politiche di guerra che vengono imposte alla società, in cui si inserisce anche la costruzione della nuova base militare.
Fondamentali decisioni collettive, che riguardano l’impiego delle risorse economiche, devono essere oggetto di discussione pubblica: è il caso dei 190 milioni sottratti dal fondo di Coesione e Sviluppo per il progetto della nuova base militare, che dovrebbe ospitare il Gruppo di Intervento Speciale e il 1º reggimento paracadutisti “Tuscania”. Il problema è di scala europea: è recente la decisione dell’Europarlamento di dirottare i fondi del PNRR verso le crescenti spese militari. Mentre aumenta la spesa in armamenti, assistiamo a un progressivo definanziamento del mondo dell’istruzione, con le università che avrebbero bisogno di nuovi investimenti per la ricerca pubblica, per l’accessibilità e il diritto allo studio, per la promozione di saperi critici e rivolti allo sviluppo civile della società e dell’essere umano in un contesto di pace.
Abbiamo deciso, in un’assemblea pubblica, di organizzare un campeggio nei giorni 13-16 luglio dal nome “Fermare l’escalation” in cui concretizzare una prospettiva di cooperazione, dialogo e mobilitazione per la pace e per la demilitarizzazione della società, a partire da un confronto nazionale con persone e realtà associative e politiche provenienti da tutta Italia. Riteniamo che la località “Tre Pini”, a San Piero a Grado, di proprietà dell’Università di Pisa, rappresenti simbolicamente l’area ideale dove svolgere questo campeggio: posta proprio all’interno del Parco Naturale di San Rossore, tra i campi in uso dal Dipartimento di Agraria e le aree già fortemente militarizzate del CISAM e di Camp Darby. Un’area che è stata, per anni, luogo di incontro e di scambio di realtà associative, come i gruppi scout, che hanno visto progressivamente restringere il loro spazio di agibilità.
Per questo chiediamo pubblicamente all’Università di Pisa, nello spirito di promozione dei valori democratici e di una cultura di pace, di facilitare il confronto e il dialogo collettivo nel territorio pisano contro l’escalation, mettendoa disposizione i propri terreni per lo svolgimento del campeggio.
Pisa ha la possibilità di essere centrale nel processo di costruzione di una pace autentica, non retorica, che parta dai territori e dall’autodeterminazione di chi li abita. Allo stesso modo, riteniamo sia una responsabilità collettiva contribuire attivamente alla demilitarizzazione dei nostri territori, dell’economia e della cultura, e sostenere la promozione dei percorsi di attivazione che si stanno costruendo, a livello locale e nazionale, per fermare l’escalation bellica.