L’Europa corre al riarmo, con il nuovo piano di finanziamento straordinario della produzione militare dei
singoli Paesi. Si chiama Act of support ammunition production e l’acronimo Asap è tutt’altro che un gioco
di parole: indica che la conversione industriale verso il settore militare e l’accelerazione dell’economia di
guerra costituisce una priorità strategica per il mondo euro-atlantico. Il duplice obiettivo europeo è da un
lato quello di intensificare le missioni militari ai confini, e dall’altro rifornire le scorte degli eserciti non solo
per mantenere continui gli aiuti militari in Ucraina, ma in prospettiva anche per farli crescere.


Il nuovo regolamento prevede, in particolare, lo stanziamento di ulteriori di 500 milioni di euro per le
spese militari comunitarie, che segue il rifinanziamento di 1 miliardo di euro dello strumento europeo per
la pace (European Peace Facility, EPF), destinato al sostegno militare all’Ucraina. Il fondo da 500 milioni
potrà finanziare fino al 60% la produzione dell’industria bellica: piogge di fondi europei alle aziende
private produttrici di armi, con una profondissima commistione di interessi tra la Commissione Europea e
le lobby militari.


Economia di guerra implica aumento dei tassi d’interesse, contrazione della capacità di spesa e del
potere di acquisto, smantellamento del welfare e delle misure di sostegno al reddito, aumento delle
spese militari. Anche il PNRR è piegato alle nuove esigenze del processo di escalation e sarà possibile –
se non immediatamente, forse domani – investire i fondi di ripresa e resilienza nel settore bellico. La
terza rata del PNRR (19 miliardi) continua a slittare dal mese di marzo, poiché per oltre il 25% dei
progetti non risultano avviate le gare d’appalto e l’assegnazione dei lavori; e anche la quarta (16 miliardi)
slitta indefinitamente. Le scadenze per l’erogazione dei finanziamenti vengono di volta in volta slittate, e
così il governo italiano ha chiesto altri quattro mesi per la riformulazione di un nuovo PNRR aggiornato. I
ritardi non sono elementi tecnici o burocratici, ma nascosti dietro dibattiti poco comprensibili alla
popolazione, si possono osservare alcune modifiche sostanziali del piano e le priorità del governo
Meloni. Nei documenti rivisti, il numero di posti negli asili nido inizialmente previsti si è ridotto, e anche
sulla costruzione delle colonnine elettriche e delle stazioni a idrogeno (previste con i fondi della terza
rata) il ritardo del Governo è sintomo di una scarso investimento sul tema della transizione ecologica.
Con lo scoppio della guerra, al PNRR originario era già stata aggiunta una voce significativa, relativa al
RePowerEU, il piano europeo per la cosiddetta “diversificazione energetica”, in cui le fonti di
approvvigionamento del gas russo sono sostituite da nuove importazioni di gas liquido da Stati Uniti, dal
nordafrica (Algeria ed Egitto in particolare), dal Mediterraneo Orientale (Israele, Qatar, ecc.). Si tratta di
un nuovo capitolo di spesa per i PNRR dei paesi europei, giustificato dallo scenario bellico globale, in cui
la costruzione di infrastrutture energetiche godrà di deroghe speciali, che svincolano i progetti dai vincoli
ambientali e climatici, e in cui fondi pubblici saranno investiti per la costruzione di gasdotti e
rigassificatori (come ben abbiamo visto in Italia).


Diventa fondamentale quindi capire come si articola l’economia di guerra e su chi ricadono i suoi costi, in
termini ambientali, sociali ed economici. Nella tavola rotonda “Desecretiamo l’economia di guerra” si
vogliono approfondire e discutere questi nodi, nell’ottica di una conoscenza condivisa e comune.
Son intervenut: Martina Pignatti (Rete Pace DIsarmo), a seguire dibattito libero con interventi di
singoli o di realtà.